I soliti ignoti
Un film di Mario Monicelli
Gassman è Peppe, un pugile balbuziente in disarmo, Mastroianni è Tiberio, che bada al pupo mentre la moglie è in prigione, Salvatori è Mario, perditempo bonaccione che si fa mantenere dalle vecchie zie, Murgia è Ferribotte, siciliano geloso della sorella Carmela (Claudia Cardinale), Pisacane è Capannelle, dalla storica fame arretrata. Poi c'è Totò, il "maestro". Si presenta l'occasione per un colpo facile: scassinare una cassaforte in tutta tranquillità, sfondando un sottile muro che divide un'abitazione privata dal monte dei pegni. La "banda" prepara tutto come ha visto fare nei film, usa tutti i mezzi necessari (Gassman all'occorrenza seduce Carla Gravina, anche se poi non servirà), riprende persino (con cinepresa rubata) il luogo del colpo. Alla fine agiscono, aprono porte e sfondano il muro, solo che per un insignificante cambio di mobili si trovano nella cucina dello stesso appartamento. Nel frigorifero c'è pasta e ceci. Siedono al tavolo e... cenano. Val la pena di fare altri nomi: Age, Scarpelli e Suso Cecchi D'Amico alla scrittura. E naturalmente Monicelli alla regia. Capolavoro per molte ragioni. Il "comico" che diventa "cosa seria", non solo espressione di gag estemporanee o di gestacci scontati e conosciuti; Gassman, fino allora noto per i classici in teatro o per ruoli di cattivo (alla Riso amaro), che diventa un attore comico, e continuerà su quella strada ( La grande guerra, Brancaleone, Il sorpasso); la forza irresistibile di certi caratteri, Murgia e Pisacane, che divennero precedenti imprescindibili; la capacità del film di rappresentare, col sorriso-un-po'-triste, quel momento storico difficile ma che forse sarebbe stato abbastanza felice, e che poi in effetti lo fu. Non si contano i remake, anche a Hollywood. Sarebbe seguita la stagione della cosiddetta commedia italiana, capace (quasi) di riproporre la straordinaria qualità e importanza del movimento neorealista di vent'anni prima. La memoria del cinema rimanda alcune sequenze magnificamente storiche: la lezione di cassaforte di Totò, Gassman balbuziente che conta il tempo e dieci secondi diventano un minuto, il muro interno sfondato per niente. I soliti ignoti rappresenta quel "sorriso intelligente" che è un'opzione primaria e benemerita del cinema: da Chaplin a Tati, da Wilder a Allen. Con questo Monicelli siamo da quelle parti e a quei livelli. Ma c'è dell'altro. Il film, rivisto oltre quarant'anni dopo, non ha perso vedibilità. Anzi, adesso si ritrova cinque stelle, da quattro che ne aveva nella prima edizione del "Farinotti".
Con Vittorio Gassman Marcello Mastroianni Renato Salvatori Totò Carla Gravina
Produzione: Italia , 1958 , 111min.
Scombinato quartetto di ladri di mezza tacca tenta un furto a un Monte di Pegni periferico. Il colpo va buco, ma si fanno una mangiata. Uno dei pilastri della nascente commedia italiana: la sua eccezionale riuscita nasce da una scelta azzeccata degli interpreti (con la scoperta di V. Gassman comico, gli esordi di C. Cardinale, C. Gravina e T. Murgia, un mirabile intervento di Totò) e una sceneggiatura perfetta (Age, Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico), senza contare il bianconero di G. Di Venanzo e le musiche jazzistiche di Piero Umiliani. È il 1° film comico italiano dove compare la morte, con personaggi invece di macchiette, una comicità venata di dramma e il tema dell'amicizia virile, raro nella cultura e nello spettacolo italiano. Vela d'oro a Locarno, 2 Nastri d'argento (sceneggiatura, Gassman), nomination all'Oscar, grande successo di pubblico. Seguito da Audace colpo dei soliti ignoti (1960) e I soliti ignoti vent'anni dopo . 2 rifacimenti a Hollywood: Crackers (1984) di L. Malle e Welcome to Collinwood (2002) di A. e J. Russo.