L'ultima Luna di Settembre
Un film di Amarsaikhan Baljinnyam
L'ultima Luna di Settembre, film diretto da Amarsalkhan Baljinnyam, racconta la storia di Tulga (Amarsaikhan Baljinnyam), che da diversi anni vive in città, ma quando il suo anziano padre si ammala, decide di far ritorno nel suo villaggio natale, sito tra le remote colline della Mongolia, per assisterlo. Quando il genitore muore, Tulga decide di restare comunque a vivere nella yurta paterna, determinato a portare a termine un compito che aveva promesso al padre di completare prima dell'arrivo dell'ultima piena di settembre.
Un giorno, mentre lavora nei campi, Tulga si imbatte in un bambino di circa dieci anni di nome Tuntuulei (Tenuun-Erdene Garamkhand), che vive con i nonni, perché sua madre lavora nella città. Inizialmente tra loro si instaura un rapporto di sfida, che pian piano si appianerà, lasciando spazio a un legame fatto di stima e condivisione. Tulga deciderà di prendere il bambino sotto la sua ala protettiva e capisce così che è in grado di dare a Tuntuulei tutto quell'affetto paterno di cui ha bisogno e che a lui stesso non era mai stato concesso da suo padre. Mentre l'ultima luna piena di settembre è sempre più vicina, Tulgs si rende conto che sono riamasti pochi giorni da trascorrere in compagnia di Tuntuulei, prima di fare ritorno in città.
Con Amarsaikhan Baljinnyam Tenuun-Erdene Garamkhand Damdin Sovd Davaasamba Sharaw
Produzione: Mongolia , 2023 , 90min.
Amarsaikhan Baljinnyam, alla sua opera prima, offre l'occasione di conoscere nel profondo un mondo che raramente compare sui nostri schermi.
Lo fa a partire da un romanzo di T. Bum-Erden scrivendo la sceneggiatura, dirigendo e interpretando il ruolo di Tulgaa avendo alle spalle una consolidata carriera di attore. Ha fatto così totalmente propria questa storia che chiede allo spettatore una disponibilità che poi sa ricompensare. Domanda cioè a chi guarda di dimenticare i ritmi e i tempi della narrazione cinematografica occidentale per lasciarsi immergere in un'area antropogeografica in cui la dimensione temporale assume modalità profondamente diverse.
È in fondo ciò che deve fare il protagonista nel momento in cui lascia la città (scopriremo verso la fine del film qual è la sua professione) per ritrovare nella yurta in cui è cresciuto (e nello spazio sconfinato in cui è immersa) un modo di vivere (e di morire) che forse aveva pensato di potersi lasciare per sempre alle spalle. È un luogo in cui bisogna stare in piedi su un cavallo in cima a una collina per poter sperare di avere abbastanza campo per fare una telefonata così come le abitazioni sono davvero distanti le une dalle altre. Questo lascia ampi margini di solitudine che è poi la dimensione in cui Tulga si immerge per portare a termine il lavoro iniziato dal patrigno.