Fiore mio
Un film di Paolo Cognetti
Fiore Mio, il film diretto e interpretato da Paolo Cognetti, lo scrittore si fa più vicino allo spettatore e racconta, in modo intimo, introspettivo e mai scontato, la sua montagna: il Monte Rosa, un luogo geografico ma soprattutto un luogo del sentire e un luogo della comprensione di quanto abbiamo intorno.Quando nell'estate del 2022 l'Italia viene prosciugata dalla siccità, Paolo Cognetti assiste per la prima volta all'esaurimento della sorgente della sua casa a Estoul, piccolo borgo posto a 1700 metri di quota che sovrasta la vallata di Brusson. Questo avvenimento lo sconvolge profondamente, tanto da far nascere in lui l'idea di voler raccontare la bellezza delle sue montagne, dei paesaggi e dei ghiacciai ormai destinati a sparire o cambiare per sempre a causa del cambiamento climatico. Cognetti racconta così la sua montagna sulla falsariga de "Le 36 vedute del monte Fuji" di Hokusai, un'opera in cui l'artista giapponese ritrasse il Fuji cambiando continuamente i punti di vista e raccontando la vita che scorre a vari livelli: sui suoi fianchi, nelle valli sottostanti, sulla vetta ma anche nelle città più vicine da dove ancora è visibile, lontano, oltre la nebbia dell’inquinamento, il profilo maestoso della montagna.
Con Paolo Cognetti
Produzione: Italia , 2024 , 80min.
"Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia". Così inizia "Le otto montagne", il romanzo che ha ampliato in maniera esponenziale la notorietà di Paolo Cognetti. In Fiore mio il suo è un passo che deve tenere conto della presenza di Laki e che si propone allo spettatore come un'occasione di incontri.
C'è un'immagine che torna nel film ed è quella di una tazza che viene riempita d'acqua fino all'orlo. Non ci viene detto il perché ma non ha importanza. Ognuno può fornire la propria interpretazione così come fanno, a proposito del rapporto con la montagna, le persone che Cognetti incontra nel suo percorso a cui consente di parlare senza mai sovrapporsi con la propria visione. Quella ce l'ha già proposta nella sua opera letteraria. Qui prevale la disposizione all'ascolto che, non a caso, apre e chiude il film consentendo ai suoni della Natura di occupare tutto il campo uditivo.
Quella Natura che una credenza cittadina idealizza ritenendo che il Rosa si chiami così perché al tramonto le sue cime si tingono di quel colore mentre ci viene detto da subito che il termine deriva da un termine in lingua locale che significa ghiaccio. Quella Natura che Marta, un'amica che gestisce un rifugio vegano e che pratica yoga, vede come pronta a reagire, con i suoi tempi, allo scempio che l'umanità ne sta facendo.