Dalìland
Un film di Mary Harron
Dalìland, film diretto da Mary Harron, racconta gli ultimi anni di Salvador Dalì (Ben Kingsley).
Siamo nel 1974, quando un giovane assistente di nome James (Christopher Briney) aiuta il geniale pittore spagnolo ad allestire la mostra in una galleria di New York.
Il ragazzo è entusiasta e stenta a credere di avere il privilegio di lavorare per l’immenso artista. Ma stando accanto a lui scopre anche i lati oscuri della sua personalità e della sua vita. James ha l’occasione di sperimentare in prima persona la vita eccentrica che conduce. Partecipando a feste lussureggianti con invitati illustri, avverte il vuoto e la tristezza che Dalì porta dentro di sé.
La sua paura di invecchiare è alimentata dai comportamenti sregolati di sua moglie Gala (Barbara Sukowa), con cui i rapporti vanno deteriorandosi sempre di più. Una volta sua grande musa e tutt'ora l'amore della sua vita, la donna è diventata avida e dispotica, e si circonda di giovani amanti sotto gli occhi del marito.
Con Ben Kingsley Barbara Sukowa Christopher Briney Rupert Graves Alexander Beyer
Produzione: Gran Bretagna , 2022 , 104min.
Una meravigliosa istantanea degli anni '70 che mette al centro un Dalì crepuscolare sospeso tra pulsioni di morte, malattia e nodi irrisolti.
Esistono nella storia dell'umanità, e dunque di riflesso nella letteratura, dei personaggi talmente complessi e prismatici da annichilire chiunque tenti di rinchiuderli in una pagina. Quando si ha a che fare con soggetti di questo tipo, il racconto in prima persona è del tutto impensabile, poiché nessun autore, per quanto capace, saprebbe far ordine in una mente che deve la sua stessa genialità al caos. Lo sapeva bene Fitzgerald, che quando si approccia a scrivere la sua opera più celebre, "Il Grande Gatsby", decide di delegare il ritratto del suo chimerico protagonista a un altro personaggio, Nick Carraway, in modo da poterlo scandagliare dall'esterno. E lo sanno bene anche Mary Harron e suoi sceneggiatori che attraverso il personaggio di James, riescono nella difficile impresa di raccontare sia il Dalì-personaggio che il Dalì-uomo.
Come l'uterque-homo petrarchesco, scisso da terribili dissidi, Dalì ha totalmente perso il contatto con il suo vero io, fuorviato dalla dimensione pubblica, sentimentalmente straziato dai tradimenti di Gala e ossessionato dalla morte. Costretto a dipingere solo per finanziare il suo trimalcionico stile di vita, Mary Harron mette in scena un Dalì sul viale del tramonto, che cerca di aggrapparsi con tutte le sue forze all'amata moglie, ma dalla quale riceve solo tradimenti e rancore.
Tema interessantissimo che Mary Harron sviscera a dovere è quello della sessualità: oltre che cruciale nell'opera di Dalì, il sofferto rapporto con la sua libido ci viene presentato come un vero e proprio leitmotiv della sua vita. Al Ritz di New York, perciò, Dalì si circonda di un serie di modelle-muse che compongono il suo harem della castità: sembra che l'impossibilità dell'atto sessuale sia per Dalì l'ispirazione prima, dal momento che l'immaginazione e l'osservazione sono alla base dell'ispirazione artistica, mentre l'atto pratico, nella sua concreta e brutale attuazione, è spurio da ogni forma di poesia e astrazione.