L'altro volto della speranza: In assenza della politica, riscoprire l'umanità
Recensione del film L'altro volto della speranza
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Ripartendo da dove era arrivato con Miracolo a Le Havre, il regista finlandese ribadisce le proprie idee sull’Europa e sulle politiche dell’accoglienza e della gestione di rifugiati e richiedenti asilo che arrivano dall’Asia e dall’Africa, opponendo alla visione profondamente negativa – anche se sarebbe meglio dire disillusa – che ha del vecchio continente, quella positiva di comunità. La intende come gruppo ristretto di persone che include, condivide e accoglie senza dare giudizi, senza chiedere spiegazioni e che se ne frega se deve infrangere qualche legge che ritiene ingiusta. Questa forma di comunismo immaginaria, racchiusa dentro un microcosmo di periferia e disegnata con la consueta forma minimalista e a metà strada fra oggettività e fantastico, non deve però trarre in inganno. Kaurismäki non vuole fare un cinema di buoni sentimenti o costruire un ipotetico mondo migliore. Ma descrivere piuttosto una sorta di società possibile e all’interno della quale non si agisce contro qualcosa o qualcuno, ma semplicemente per il bene proprio e degli altri. Senza tirate morali o lezioni di buonismo.
Wikström, un uomo alle soglie della pensione, lascia la moglie e decide di aprire un ristorante nella periferia di Helsinki. Nello stesso momento Khaled, giovane rifugiato siriano in fuga da Aleppo, chiede asilo politico al governo finlandese.
L'incipit di "L'altro volto della speranza" di Aki Kaurismäki presenta fin da subito i due protagonisti e racchiude tutto lo stile dell'autore finlandese. Senza usare una parola - come ha affermato lui stesso la parola è per la letteratura, il cinema è fatto di immagini - con inquadrature pulite e geometriche e stacchi precisi lo spettatore capisce che siamo di fronte a un clandestino e un uomo in crisi. Kaurismaki utilizza metonimie per rappresentare tutto ciò: la fede lanciata sul tavolo e buttata dalla donna in un posacenere, a fianco un grosso cactus pieno di spine (simbolo del loro lungo matrimonio finito); le camicie che identificano immediatamente il lavoro di Waldemar; Khaled ci appare nero di carbone, sineddoche di tutti gli extracomunitari, per poi, dopo che si è lavato, farci supporre che si tratti di un profugo di guerra. Egli risorge dalla terra come un morto che cammina. Il personaggio di Khaled è contiguo con il ragazzino africano di "Miracolo a Le Havre", collegati da un fil rouge emotivo e visivo, come se i due film fossero uno lo specchio dell'altro.
lo spazio sociale che Kaurismäki dipinge è un luogo sempre uguale a se stesso dove andare a cercare l’eccezione, scovare l’anomalia che, nel suo piccolo, può fare la differenza. E la differenza la fanno, ancora una volta, gli ultimi. Non solo i rifugiati che scappano dall’inferno della guerra, ma anche il solito corollario di tipi umani che stanno ai margini della società. Musicisti di strada, camerieri, cuochi, edicolanti di bar e chioschi di periferia, portuali, camionisti, spazzini. Tutte persone che popolano da sempre i film del regista e che oltre ad avere in comune il fatto di essere degli spiantati e di bere e fumare più del dovuto, si somigliano anche per il posto che occupano nel mondo (o fuori da esso). Ovvero sempre un po’ fuori dal centro (della città e metaforicamente da tutto il resto). Persone che iniziano a vivere e lavorare quando smettono gli altri, che abitano la notte per dovere e non per divertimento e che forse proprio perché abituati al buio, dove tutto appare ugualmente scuro, non fanno caso ai colori, tantomeno a quello della pelle.
"L'altro volto della speranza", scritto e prodotto sempre da Kaurismäki, ha vinto l'Orso d'argento miglior regista al 67° Festival Internazionale del cinema di Berlino. Se proprio vogliamo trovargli un difetto, dobbiamo dire che in questo caso, più che aggiungere, assembla temi visti in precedenti opere già citate. Però lo fa con la consueta grazia e originalità di sguardo, ironia dissacratoria e umana pietas, che ci fa voler bene a questo grande e grosso artista della macchina da presa.